Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Quando il servo di Sua Eccellenza Signor Barbanera – torniamo indietro nel tempo di circa due secoli – caricò la cassa sul basto del mulo nella stalla del suo palazzo a Fontecchio, osservato e scrutato in ogni sua mossa sempre da Barbanera, forse pensò, per un attimo, il perché di tanta attenzione da parte di Sua Eccellenza nell’assistere a questo semplice lavoro, in fondo un carico da trasportare. Uscirono, infine, dalle stalle del palazzo, si incamminarono entrambi lungo il sentiero che scende nel fondovalle, superato e guadato “il ponte delle pietre” nel fiume Aterno, iniziarono la ripida risalita dentro la valle stretta e angusta, buia a tratti, quasi inestricabile: la valle “Irchi” quando, quel flebile pensiero iniziale del servo si materializzò, inquietante, all’improvviso. Il servo procedeva preoccupato davanti al mulo tenuto per la cavezza, Barbanera dietro, e poiché la forra diventava sempre più come una sorta di “selva oscura” carica di mistero arcano, la luce quasi scomparve, tanto che Barbanera accese una torcia che illuminò d’improvviso un orso e un branco di lupi ai lati del mulo: procedevano quasi a voler scortare il convoglio. Il mulo iniziò a parlare con l’orso in una lingua sconosciuta e arcana. Fu solo in quel momento che il servo iniziò a sudare freddo, ma era oramai tardi e lui, inconsapevolmente, sarebbe andato fino in fondo incontro al suo destino, già scritto… Davanti a quell’occultismo della montagna, entità e poteri si unirono, forze sconosciute paranormali avevano avvolto la forra di Fontecchio: alchimia e magia si erano date convegno… “La compagnia”, quindi, superata la località “La Croce”, attraversò il villaggio d’altura delle “Pagliare” di Fontecchio per scendere poi nella conca carsica sottostante e, davanti al lago, Barbanera immerse al centro del bacino la cassa che affondò rapidamente. Del servo non se ne seppe più nulla, qualcuno disse che fu visto penzolare da un albero delle “Pagliare” un frammento di cranio con i capelli avvolti… Ma adesso riavvolgiamo il “nastro”, torniamo per un attimo ancora indietro nel tempo, ma non molto. Barbanera, nel centro storico di Fontecchio, nella sua residenza, località “Santa Nicola”, aveva creato una macchina che coniava marenghi, ma falsi, che cedeva agli zingari per ricettarli, una banda che appunto riciclava monete. Il ricavo, concordato, tornava a Barbanera, che così poteva comprare marenghi veri, d’oro. La banda, poi, fu scoperta e arrestata, condannata all’ergastolo per quei tempi… Barbanera aveva due figlie, a una delle due aveva affidato una parte del suo tesoro da lui accumulato e sepolto in una abitazione diroccata a Fontecchio. Lei iniziò a scavare e, sotto le macerie, trovò uno scrigno con preziosi d’oro. Si racconta che per tanta ricchezza trovata la figlia acquistò a Fontecchio un intero isolato che ancora oggi si può vedere. All’altra figlia, Barbanera, invece, aveva consegnato la “mappa del tesoro di Barbanera”, così chiamata dal popolo. Sono passati due secoli, così trascorsi nell’oblio, ma adesso torniamo ai nostri giorni, agli acquirenti del palazzo Barbarossa che, durante i lavori di restauro negli scuri delle finestre, all’interno, trovarono monete di varia foggia (me ne occupai diversi anni fa in un report sui miti della valle), e nella camera da letto addirittura un mobile secreter: conteneva monete. Recentemente poi, in queste settimane appena passate, sono andato a trovare Primo Benedetti a Fontecchio. Mi occorrevano una serie di documenti e carte storiche che forse lui poteva possedere. Il luogo dove vive conserva anche una smisurata collezione di libri antichi, mappe, oggetti, cimeli e tanto ancora (non sono peraltro inventariati, tanto che un’Amministrazione oculata non perderebbe tempo a chiedere un comodato d’uso per un luogo espositivo e di consultazione, considerati la ricchezza e l’unicità anche dei reperti storici). E ’come trovarsi in un antro delle meraviglie, un luogo che sembra appartenere ad un altro tempo con quella luce fioca che illumina gli ambienti sovrastati da tanta sapienza secolare tutta lì accumulata. E uno di questi volumi storici di un’antica casata in carta finissima, in filigrana, (ceduto a Primo da un donatore di Aquila quasi mezzo secolo fa trovato da lui in un museo privato), l’ho preso e tirato fuori da un armadio pieno di polvere. Una volta consultato, è venuta fuori una mappa inaspettata, sì, una sorta di mappa pergamenacea manoscritta disegnata e dipinta con colori a china e mista a polvere di terra cromatica, bucata e inzuppata di chissà quali sostanze, unta di polvere da sparo e vegetali, mangiata dai topi, con le indicazioni su un luogo da raggiungere, i sentieri e toponimi locali riportati: il fiume Aterno, Fontecchio, “le Pagliare”, il lago e la montagna. Poi, in controluce nel foglio di pergamena il ritratto di Pico Fonticulano: sbalorditivo! La mappa, inizialmente piegata, l’ho aperta e rigirata tra le mani, da non crederci,” la mappa del tesoro” così era chiamata dalla tradizione orale, e dentro le indicazioni, il “sito finale” da raggiungere, il lago e il tesoro ivi sepolto, poi le tracce da seguire nella cartografia d’epoca e tutti quegli elementi distintivi topografici, visualizzati infine. Il segreto forse svelato dentro una geografia occulta e densa di mistero e di luoghi arcani. Il forziere con i marenghi d’oro è lì, bisogna entrare, in acqua, al centro del lago delle Pagliare di Fontecchio, scavare il fondale, sondarlo dentro lo strato di melma fino a scoprire con i pali immersi, che si fermano, su un oggetto, dalla superfice dura: “L’arca dei marenghi”. Il lago ha nascosto a lungo sia ai tombaroli che ai vandali l’importanza del tesoro, il forziere sepolto, ricolmo di marenghi d’oro che riconduce a ritroso alla mappa del tesoro trovata, rinvenuta, sepolta e dormiente dentro un antico manoscritto che segna anche, in maniera avvincente, i luoghi dell’avventura molto amati dai più nelle fiction dei misteri svelati. Il tesoro maledetto, quindi, come un fantasma riappare, con quattro chiavi e il baule che si apre e svela il suo tesoro. L’enigma nascosto, pertanto, i marenghi d’oro depositati in fondo al lago, seppelliti in una cassa e, sullo sfondo, in quota, su una collina, le Pagliare di Fontecchio che si scorgono dal lago, su una altura della Conca carsica alle pendici del Sirente. Tutto questo sembra l’incipit di un racconto fantasy, avvincente. La mappa misteriosa ripiegata dentro un documento pergamenaceo molto più antico della stessa mappa, continuiamo a pensare, una traccia per ripartire dentro i personaggi che hanno animato questo segreto restato criptato per oltre duecento anni. Riportare il tesoro alla luce, la cassa di marenghi con la meraviglia dei personaggi, avvincenti, insieme ai lupi e gli orsi che hanno custodito e vigilato, protetto il tesoro nelle notti di luna piena, puntualmente si sono incontrati lì, sulle rive del lago delle Pagliare di Fontecchio. Un’avventura difficile e pericolosa che si scontra con i poteri sovrannaturali e i codici per interpretare un paesaggio apparentemente tranquillo nel suo incedere negli anni, ma misterioso e clanico, totemico di simboli metastorici che ci appartengono, e sono lì, aspettano noi…