Il totem dell’Appennino Centrale.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

L’altopiano di Campo Imperatore è chiuso tra i Monti Camicia, Prena e Corno Grande. E comunica con il teramano attraverso vado di Corno e Vado Ferruccio a Nord, dai monti Cristo, Scindarella e Bolza a sud, da vado di Siella per il quale si scende a Farindola a Est. Si estende a nord -ovest a sud- est per una lunghezza massima di 27 chilometri, e una larghezza di 8. Frequentato da circa 18-15 mila anni fa, Campo Imperatore si raggiunge oltre che per via d’acqua, rappresentato dal corso dell’Aterno, attraverso il quale penetrarono cultura dalla Liguria, dalla Padania Orientale per le Marche, dalla Sicilia e dalla Puglia. Detto Cambradura, denominato dai tempi dei romani ” Mons Cumaris” e Monte Cumora, fu denominato Imperatore o Imperiale da Federico II. Antico fondo lacustre, si estende ad un’altezza media di 1800 m. Si racconta che Fabio Massimo vi si fortificasse per contrastare la discesa di Annibale dal Piceno a Roma. Ebbe rilevante funzione economica per opera dei cistercensi. I cistercensi, presenti nell’area montana di Campo Imperatore, dal XIII al XVI secolo, vi costruirono Santa Maria del Monte, grangia del monastero di San Spirito, valorizzando con il lavoro e l’investimento su capitali l’intera montagna, tanto che già nel 1474 unitamente ai castelli di Calascio, Rocca Calascio e Carapelle, avevano nella dogana 94.070 pecore. Un lungo tratto dell’altopiano in territorio di Santo Stefano di Sessanio fu asservito alla baronia di Carapelle. L’ingegnere militare Francesco De Marchi da Bologna, che nell’agosto del 1573 aveva scalato la vetta del Gran Sasso dal versante aquilano, descrive nella cronaca dell’ascensione Campo Imperatore: ” Il campo radduro dove vengano gran quantità di bestiami a pascolare, massima pecore” che ” passano sessanta o sett’ antamila e par esse’uno esercito grossissimo a vedere, tante capanne e tante tende”. Viaggiatori stranieri come Estella Canziani ce ne hanno lasciato una descrizione avvincente non solo dal punto di vista naturalistico ma anche per le attività dell’allevamento che ha distinto la sua funzione sociale ed economica nell’intero retroterra abruzzese. Il bacino di Campo Imperatore costituisce un serbatoio idrico nel quale l’acqua piovana e di fusione delle nevi viene immagazzinata per infiltrazione nelle masse calcaree, che hanno la massiccia permeabilità nell’area più occidentale per porosità e fratturazione fra le quote 1700 e 1500. La maggiore permeabilità e il maggior drenaggio di questa parte del massiccio sono legati a sistemi di fratture e faglie a carattere distensivo e generalmente ad andamento appenninico. Si ha quindi che, mentre una parte dell’acqua immagazzinata va ad alimentare le sorgenti del Trabocco nel versante teramano (sopra casale San Nicola e l’acquedotto del Ruzzo) e con modesta circolazione sotterranea, quelle del versante aquilano, la restante parte contribuisce ad alimentare le copiose e costanti sorgenti del Tirino e del Pescara. Il massiccio del Gran Sasso, inoltre, data la grande diffusione di formazioni carbonatiche permeabili per fessurazione, è caratterizzato da una notevole quantità di valli carsiche, particolarmente evidenti e diffuse tra l’altopiano di Campo Imperatore e di valle Voltigno. Le forme più comuni sono le doline ad imputo ed a fondo piatto, ubicate ad oriente di monte Bolza e sui margini sud orientale di Campo Imperatore, nei depositi fluvio glaciali o direttamente sui calcari. Il Gran Sasso è caratterizzato da una unità morfologica ad andamento WN – ESE delimitata all’estremità occidentale e orientale rispettivamente dalle alte valli del fiume Vomano che la separa dai Monti della Laga e dal fiume Tavo. Assume una prevalente direzione Nord- Sud e morfologie meno aspre, scende verso Sud per circa 20 Km fino alla depressione di monte Rocca tagliata verso Bussi. Il limite settentrionale è definito da un rapidissimo versante che precipita sulla fascia collinare pedemontana in corrispondenza di Corno Grande, Monte Camicia, raggiungendo 1400 metri di dislivello. I due allineamenti paralleli distano almeno 2,5 chilometri nel settore ad occidente compresa l’Alta valle del fiume Vomano e Campo Pericoli – Val Maone e cinque- sei chilometri in quello orientale che va fino all’Alta valle del fiume Tavo. Nell’allineamento settentrionale, lungo circa 20 km sono comprese le cime più alte che raggiungono i 2912 metri sul livello del mare di Corno Grande. L’allineamento meridionale è lungo 20 km. con cime meno elevate. I due allineamenti montuosi, separati da una depressione tettonica longitudinale, sono collegati ad ovest da tre contrafforti che determinano le conche interne di Venacquaro che immettono sul versante teramano, mentre nel settore orientale dalla imponente depressione tettonica dell’Altopiano di Campo Imperatore. L’altopiano è un ecosistema formato da antichi depositi alluvio-glaciali, è oggi una prateria a tratti stepposa dove cresce il ginepro, solcata da enormi coni detritici di deiezione. Le specie endemiche di notevole valore botanico presente sono il croco, la viola calcarata, la scilla bifolia. Interessanti i biotopi rappresentato da pozze d’acqua perenni in cui si rinvengono tritoni della specie Triturus italicus. La fauna è rappresentata dalla coturnice e una volta da altre sottospecie comuni all’intera area del Gran Sasso tra cui il camoscio, come ricordato da alcuni viaggiatori stranieri, che parlano di uomini a caccia sulle pareti di Corno Grande di questo animale. Il clima è caratterizzato da temperature basse e venti violenti, tanto che ” da luglio comincia il gran freddo” fino al giorno di San Giovanni dell’anno successivo quando tornano le greggi. L’azione antropica si è esercitata attraverso la pastorizia ieri testimoniata dagli insediamenti di Santa Maria del Monte con le sue “Condole”, pertinenze per l’allevamento e il ricovero dl bestiame. Il massiccio del Gran Sasso prevalentemente calcareo, ha una topografia varia e complessa che schematicamente può dividersi in due parti: alta montagna e media montagna. L’alta montagna comprende tutta la catena montuosa che si estende in direzione ovest-est dal Passo delle Capannelle al Vado di Sole. In realtà le catene montuose sono due in parallelo fra loro separate da una depressione mediana interrotta dalla Valle Venacquaro, dalla Sella dei Grilli e dalla Sella di Corno Grande che creano un sistema di vali interne: valle del Chiarino, Campo Pericoli, Campo Imperatore. La catena più meridionale è formata da monte San Franco e Monte Jenca, Monte Camarda, Pizzo Cefalone, Monte Portella; la più settentrionale comprende la vetta di Monte Corvo, Pizzo Intermesoli, Corno Piccolo, Corno Grande, Monte Aquila, Monte Brancastello, Monte Prena, Monte Camicia, Monte Siella, Monte San Vito. La media montagna è strutturata in una catena orientata Nord – Sud da Vado di Sole fino alle gole di Popoli, comprendente Monte Fiore, Monte Cappucciata, Monte Picca e Monte Rocca Tagliata. I versanti dell’intero complesso orografico sono tre: settentrionale in provincia di Teramo, orientale in provincia di Pescare e sud – occidentale in provincia dell’Aquila. L’altopiano di Campo Imperatore è una vasta area omogenea che va dalle valli glaciali e moreniche della Scindarella, del monte Aquila e del Prena Camicia, alle doline delle Coppe di Santo Stefano e di Monte Bolsa – Ricotta fino alla depressione del Vallone D’Angora, e alle gole del canyon di Fonno tra Ripa Rossa e Colle Arcone. L’area è dominata a monte dalla parete di Corno Grande, ad est dai monti Aquila, Brancastello, Prena, Camicia, Siella, San Vito, Riparossa; ad ovest dai monti Scindarella e Bolza, a valle dalle foreste di valle Caterina, Pietrattina e valle Pelletrella. Conserva un ingente valore naturalistico e paesaggistico. Coperto di neve per molti mesi all’anno, in primavera vi fiorisce il Croco Bianco, viola, rosa, ciclamino e in maggio il narciso sul piano dell’Ospedale. In estate si copre di prateria che in autunno assumono color rosso marrone con la foresta di multi colore di valle Caterina, valle Pelletrella e Pietrattina e i larici ed abeti di impianto artificiale della Vetica. Anfiteatro cromatico, campo Imperatore rappresenta un bacino naturale ricco di un patrimonio paesaggistico e culturale da preservare. La fauna dell’area del Gran Sasso era numerosa e se oggi impoverita rimane comunque un patrimonio da salvaguardare. Si trovano specie appartenenti agli ortotteri (grilli e cavallette) coleotteri carabidi e scarabei, lepidotteri (farfalle). Fra gli animali superiori si trovano il cinghiale, la lepre, la volpe, la martora, il riccio, lo scoiattolo, il tasso, il gatto selvatico. Sono scomparsi il camoscio, l’orso, il capriolo e rari sono i lupi. Fra gli uccelli troviamo la poiana, lo sparviero, l’aquila reale, il gheppio della famiglia dei rapaci diurni e il gufo reale, l’allocco, la civetta tra i rapaci notturni. ci sono ancora la coturnice, la quaglia, la tortora, il colombaccio, il picchio, il corvo imperiale, la ghirlanda. Tra i rettili, la vipera, la lucertola, il ramarro, la biscia. nei laghetti sono presenti la salamandra pezzata, il tritone, i rospi. La presenza di questi animali testimonia l’esistenza di vari habitat alcuni dei quali ancora intatti, altri modificati dalla presenza dell’uomo nel corso dei millenni, tutti di rilevante valore naturale, paesaggistico e antropologico. La grotta a male ( Amare). Già descritta dal De Marchi nel 1500, in più saggi di scavo, il primo di Ugo Retilli nel 1938, gli altri del Pannuti anche in tempi recenti, è stata messa in luce una successione di “livelli culturali” nell’ambito della cultura appenninica e al di sotto due sepolture, una delle quali riferibile all’Eneolitico. Quest’ultima è una sepoltura terragna con scarsi resti ossei in cattivo stato di conservazione per l’umidità il cui corredo funebre era rappresentato da un frammento di vaso ceramica nero lucido e superfice opaca, corredo che il Pannuti attribuisce alla “cultura di Rinaldone”. La grotta esempio emblematico del Gran Sasso venne frequentata dal neolitico in poi e la sua importanza è dovuta alla presenza di resti che vengono, per la prima volta in Abruzzo, a documentare una evoluzione chiara nella ceramica della cultura appenninica. La grotta ha restituito materiale ceramico nel quale si può distinguere la successione di tre stili decorativi nell’ambito appunto della cultura appenninica e resti di canis europaeus, sus scrofa, cervus elaphus, capreolus, ovis vel capra, che fanno dedurre una economia, nella fase più antica dell’appennino, prevalentemente basata sulla pastorizia e sulla caccia. Strumenti e manufatti di tipo paleolitico superiore sono stati rinvenuti su tutto l’altopiano di Campo Imperatore fino alle pendici di monte Aquila. In particolare l’archeologo Pannuti, in località Fonte della Macina, a quota 1500, nei presi della pineta Vetica, ha rinvenuto strumenti di tipo paleolitico superiore sia in superfice che con altri elementi della copertura alluvionale. L’archeologo Alberti ha raccolto manufatti a Lago Sfondo del Voltigno, a quota 1364; sempre il Pannuti a Ponte Paschio ha rinvenuto oggetti dello stesso periodo aventi una patina biancastra, tratti quasi esclusivamente da nuclei silicei sferici, vuoti all’interno, provenienti da livelli basali del Miocene superiore che affiora nella zona a Fonte della Pietà a quota 960 m. sopra Grotta a Male. La zona di lago Sfondo come la stazione di Grotta a Male, veniva frequentata durante la buona stagione per la caccia alla selvaggina d’alta montagna. I resti lasciati dai cacciatori del paleolitico superiore, sporadici nella parte interna dell’Abruzzo, frequenti lungo il versante adriatico, indicano le zone di passaggio, di sosta e di abituale permanenza.