Fotografia Vincenzo Battista.

La chiesa risale al V secolo, costruita dal vescovo Petronio come simulacro del S. Sepolcro costantiniano di Gerusalemme e ricostruita agli inizi dell’XI secolo dai monaci benedettini dopo che venne pesantemente danneggiata durante le devastanti invasioni ungare del X secolo. L’edificio, a pianta centrale, è costruito su un perimetro a base ottagonale irregolare al centro del quale si erge una cupola dodecagonale. Al suo interno ci sono 12 colonne di marmo e laterizio, mentre al centro si trova un’edicola che custodiva le reliquie di San Petronio, qui rinvenute nel 11411. La porticina del Sepolcro viene aperta una settimana l’anno, dopo la celebrazione della messa di mezzanotte di Pasqua, alla presenza dei Cavalieri del Santo Sepolcro.

Anticamente era possibile strisciarci dentro per venerare i resti del santo; le prostitute di Bologna, la mattina di Pasqua, inoltre, in memoria di Maria Maddalena, vi si recavano per pronunciare, dinanzi al Santo Sepolcro, una preghiera il cui contenuto esse stesse non hanno mai voluto rivelare. Sempre secondo un’altra antica tradizione le donne incinte di Bologna solevano camminare trentatré volte (una per ogni anno di vita del Salvatore) attorno al Sepolcro, entrando ad ogni giro nel sepolcro per pregare; al termine del trentatreesimo giro, le donne si recavano poi nella vicina chiesa del Martyrium per pregare dinanzi all’affresco della Madonna Incinta. Oggi il corpo di san Petronio non si trova più in questa chiesa, dopo che nell’anno 2000 il cardinale Giacomo Biffi l’ha fatto traslare nella basilica di San Petronio, che già custodiva il capo del patrono della città.

Nella chiesa si trova anche una fonte d’acqua che, nella simbologia del complesso stefaniano basato sulla passione di Cristo, viene identificata con le acque del Giordano, e che dal punto di vista archeologico rimanda alla sacra fonte del complesso isiaco preesistente. Probabilmente il tempio di Iside si trovava proprio in questa zona, come sembra dimostrato, oltre che dalla presenza della fonte (il culto della dèa egizia richiedeva la presenza di una fonte d’acqua sorgiva), dalla persistenza di sette colonne di marmo greco, proveniente dalla città di Karistos (secondo rilievi compiuti dall’Università di Geologia di Padova), certamente di epoca romana; esse sono state riutilizzate, come si nota chiaramente, visto che le sette colonne romane, ancora in piedi, sono state affiancate in età medievale da altrettante colonne in laterizio, mentre dove le colonne romane mancavano, distrutte dalle incursioni degli ungari, vennero costruite nuove colonne più robuste.

Una colonna di marmo cipollino nero, di origine africana e di epoca romana (anch’essa certamente di riutilizzo da un edificio precedente), scostata rispetto alle altre, simboleggia la colonna ove Cristo venne flagellato e, come si legge in un cartiglio, garantiva 200 anni di indulgenza i a ciascuno ogni volta che si visitava questo luogo.