Testo e fotografia Vincenzo Battista.

La pianta marmorea (preziosi marmi intarsiati tra loro) della Forma Urbis, si sviluppava per 18 metri di altezza su una facciata di un edificio romano. Rendeva visibile il linguaggio urbanistico della città con le vie i monumenti (es. le sagome del Circo Massimo e del Colosseo), le corti imperiali e molto altro individuati con il colore steso sul marmo. L’osservatore aveva a disposizione una planimetria unica del suo genere della città “incisa”. Propaganda, celebrazione del potere di una Roma perfetta. 150 lastre scavate con cura nei dettagli dagli artigiani dunque, applicate con grappe in ferro su una parete, 18×13 metri nel sito del Foro della Pace (ancora oggi è possibile vedere l’altezza dell’edificio che ospitava la planimetria). Il catasto della città aperto a tutti, visualizzato con tutti gli edifici di Roma, dimensione spaziale sulla parete di 235 mq. che sintetizzava l’ampiezza della città stimata a quei tempi in 13.550.000 mq. Tra il 203 e il 211 l’anno della costruzione del Septizodium (dall’aspetto di scena teatrale) – ninfeo monumentale (lo troviamo ancora che insiste nella pianta, morte di Settimio Severo). Linee tracciate, incise con punte acuminate, le lastre che devono combaciare e poi le iscrizioni: modelli per identificare i luoghi e i siti edificati. Quello che resta oggi è un decimo dell’intera pianta topografica. La citta dei segni: templi, basiliche, magazzini, domus, caseggiati, tabernae, tracciati viari, collegamenti tra strade, vicoli, quartieri, case, portici. Un documento marmoreo, esclusivo. Unico. La ricerca continua sulle porzioni da marmo, alcune sono ancora da identificare.