Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

Terminato il suo lavoro, quello di aver indicato la strada ai Re Magi, la giovane stella cometa vagò nel cielo, e intorno alla terra, scrutando un luogo per riposare, per scendere, ma non lo trovò. Continuò a girare per lungo e largo fino a quando non vide una catena di monti, lunga, che separava due versanti: un grande altopiano coperto di neve d’inverno e verde smeraldo d’estate, attraversato da greggi al pascolo, il primo; boschi di faggio fitti fino oltre le sue pendici e il mare che si scorgeva all’orizzonte, nell’altro versante; entrambi abitati da piccoli villaggi con case rispettivamente di mattoni (a nord, teramano) e di pietra (a sud, le conche aquilane).

Luoghi di pastori, boscaioli e contadini che vivevano in questa lunga dorsale estesa che separa i “due Abruzzi” per molti e molti chilometri, costituita da circhi glaciali, picchi e torrioni di rocce che svettano al cielo, ma anche da prati fioriti, acque, piccoli laghi popolati da cavalli, mucche e pecore degli accampamenti pastorali che si illuminano di notte (Campo Imperatore) alle pendici della grande muraglia appenninica del Gran Sasso d’Italia. Allora decise. Quello era il luogo.

La stella scese dall’immensità del cielo e si posò su una roccia, ma per il freddo si coprì , come in un sortilegio magico, con una pelliccia bianca dalle sfumature leggere sull’azzurro turchino, una peluria sottilissima, e i suoi raggi , che uscirono dal fiore, si trasformarono in fili d’erba, per poi affondare le radici. Rimase lì, per sempre: era diventata la Stella alpina.

Di notte, narra ancora la leggenda, tutte quelle stelle moltiplicate all’infinito si chiamarono a vicenda, e come un mantello luccicante in migliaia e migliaia di riflessi, pulsarono magicamente, con la loro luce bianca, illuminando l’oscurità dei rilievi montuosi. Lì gli alberi non proiettavano l’ombra sulle splendenti Stelle alpine, le pecore non le brucavano e gli uomini giurarono, solennemente, di fronte a quell’evento, che l’avrebbero amata e rispettata: sarebbe diventata un simbolo tra la terra e il cielo, e mai e poi mai strappata dal suolo. Per vedere quel mantello, sul Monte Tremoggia, come in una sorta di pellegrinaggio alla ricerca della diversità ambientale, dovranno trascorrere ancora molte ore (siamo partiti da Monte Aquila), possiamo solo immaginarlo quello che ci aspetta, ma ci arriveremo, ancora lontano da noi quel sito montuoso, su questo orizzonte sospeso del sentiero del “Centenario”, incerto e mutevole, che si alza e si abbassa, cambia continuamente, ma con punti certi: le creste del Prena e del Camicia (2564 m. quota massima del percorso), allineati, che ancora perdono i profili e finiscono mescolati nella foschia, ai vapori, alle nebbie che risalgono i canaloni, si avvitano e poi scendono: uno spettacolo unico nel sentiero geologico del “Centenario” con una lunghezza di circa 16 km. ( inaugurato nel 1974 dal C.A.I. L’Aquila nel centenario della sua fondazione) che percorriamo in direzione W-E.

Tratto salente per eccellenza della geologia del Gran Sasso, non per tutti, appunto, per complessità del trek e per il lungo attraversamento, dall’alba al tramonto, per “osservare” quindi e fotografare i due versanti. Uno spettacolo dai caratteri morfologici va così in onda con le immagini delle forze erosive delle glaciazioni davanti ai nostri occhi in cammino, che si susseguono, su uno “schermo” gigante, di oltre 230 milioni di anni, un “fossile”, una sorta di lunga cresta di dinosauro poggiata nell’Italia Centrale, che ha dato forma estrema al paesaggio emerso e ne ha determinato i microclimi che si avvicendano; alzato, disteso e arcuato com’è, sì, il “Centenario”, per l’azione dell’erosione dei ghiacciai millenari , il carsismo , la natura dolomitica delle rocce (con passaggi di 1° e 2° grado), l’azione dell’acqua che modella i pinnacoli e le laceranti rocce in ambienti diversi e contrastanti che ci sovrastano, imponenti, mentre attraversiamo il bosco di rocce, quasi da racconto fiabesco entriamo nelle forre del Prena soffocanti dal caldo trattenuto dalle grandi concrezioni, che sembrano conchiglie di roccia… Così ci appare la catena appenninica orientata nella sua essenza, lungo il sentiero di cresta del “Centenario”: un “viaggio” metafora della montagna dell’anima, per guardare con occhi diversi e misurarsi, appunto da questo “osservatorio” particolare, faticoso e a tratti da arrampicata, unico dell’intero Appennino, da cui non ci si può nascondere… Un viaggio subliminale, conflitto tra il “mondo” esteriore, della fatica, della “conquista”, dell’ascesa e della memoria, che si avvicinano e si sovrappongono. Tutto questo può diventare il “Centenario”, un sentiero intimo, culturale, di narrazioni, oltre il paesaggio montano estremo, oltre la scoperta…

Le fotografie.

Gli attraversamenti lungo il sentiero del “Centenario”.Stella alpina da Escursionismo a 360°, Campo Imperatore da Vado di Corno, naturamediterraneo.com , isoladelgransasso.it, Torri di Casanova, clubaquilerampanti.com., monte Prena, aerea settore orientale della catena del Gran Sasso, aerea Campo Imperatore con Brancastello, Infornace e Prena, aerea monte Prena, aerea creste monte Prena, vetta monte Prena, aerea cresta monte Infornace, Torri di Casanova, monte Brancastello e Corno Grande, aerea Campo Imperatore e monte Prena.

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