Testo e fotografia Vincenzo Battista.

I grandi spazi della montagna come prova iniziatica, le quinte dolomitiche del massiccio del Sirente che ascoltano, il borgo di Secinaro che si racconta. E’ questo lo scenario della “Processione dei Fuochi purificatori” del Venerdì Santo appena trascorso. Il sinedrio, sappiamo dalle fonti storiche, ha amministrato la giustizia, deciso e decretato la fine di Gesù. Ma adesso entriamo nel suo epilogo, la ricorrenza della Passione e della Crocifissione, ma non si tratta delle blasonate rivisitazioni borboniche di confraternite arricchite di costumi preziosi che sfilano in Abruzzo, nell’intercedere solenne nella processione del Venerdì Santo. No ai ricchi corredi sontuosi, catafalchi e paramenti sacri, lampade votive portate nel corteo funebre. E neppure gli apparati liturgici della coreografia mediatica, i messaggi subliminali nei personaggi del funebre corteo e i piccoli protagonismi insinuanti. Niente di tutto questo. Se dovessimo trasportare le parole di Papa Francesco : ““Uno scrittore diceva che ‘Gesù Cristo è in agonia fino alla fine del mondo, è in agonia nei suoi figli, nei suoi fratelli, soprattutto nei poveri, negli emarginati, la povera gente che non può difendersi”,  queste parole si poggiano, come detto, anche nello scenario di Secinaro dove tutto viene ricapitolato, compendiato, poiché è la memoria di appartenenza che riprende a parlare di sé, il passato, la dignità che sfila, si riprende quello che gli apparteneva nella processione dei “Fuochi purificatori”, essenziale tributo penitenziale offerto per ricordare gli antenati nella Crocifissione. Si riparte da qui, dal “dialogo” della povertà che non va dimenticata, con la quale conviveva, un tempo, la comunità emarginata nelle relazioni con altri comprensori, e limite di Secinaro. Un “ luogo di niente”, di fatica e schiavitù urlate nel silenzio, dai marcati segni distintivi delle genti di montagna che fanno, ancora oggi, della processione del Venerdì Santo a Secinaro, un evento della memoria collettiva unico nella regione, con la presenza del vescovo di Sulmona, immaginiamo, per condividere il passato di una comunità silenziosa e fuori dalle rotte massmediale. Il corteo silenzioso, dalla chiesa Madonna della Consolazione, via della Valle, Campo di Rose, Colle della Croce, l’insediamento della Villa dei contadini e stalle del paese, si muove su quattro chilometri e mezzo e una durata di quattro ore. E poi i fuochi purificatori con erbe officinali raccolte in montagna, che venivano accesi al passare della processione davanti alle abitazioni dei contadini, mulattieri, tagliatori, artigiani di Secinaro, e in montagna i falò davanti ai boschi del Sirente, come segno distintivo del lavoro, lavacro della coscienza, taumaturgico modello per superare la notte della Crocifissione. L’involucro del paesaggio anch’esso “Mistero” riprende quindi il suo racconto, la sua antologia, il suo epistolario collettivo dentro il paradigma del paesaggio – rito nella sua interezza, a cui si aggiungono i cibi del Venerdì Santo – il digiuno, in particolare gli alimenti che ricordano la fine delle scorte alimentari: i prodotti che rimanevano nelle dispense ormai terminati, recuperati nelle minestre di ceci e fagioli, pasta con alici, pizze fritte, prodotti dell’orto, baccalà, lenticchie che qualcuno dentro le case di Secinaro ha ancora preparato, guardando dalla finestra passare la processione, nella solitudine e nell’intimità il cibo, anch’esso diventato un rito, che nessuno saprà mai…

 Un particolare ringraziamento a Luigino Barbati, Secinaro.