Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

” Si faceva la fiaccolata, allora, al tempo della Seconda guerra mondiale. Si andava alla Madonna,a piedi, si sfilava, con le torce. Allora era devozione e miseria. Alle cinque di mattina, anche con la neve, si andava a pregare alla Madonna D’Appari per i militari che erano in guerra, al fronte, perché tornassero presto…”. Ugo Castellano, classe 1927, “depositario cera”: era quello il suo ruolo nella gerarchia della “Congrega” fino al 1947, come ci dirà più tardi; un “Fratello”, dell’antica confraternita della Madonna dell’Immacolata Concezione. Il complesso religioso della Madonna d’Appari, il luogo che sembra evocare un archetipo, dalle apparizioni miracolose, delle suppliche e della “grazia ricevuta”, tra le rupi e le cortine di roccia che dal XIII secolo l’avvolgono. ” Quando nasci – continua Castellano – vieni iscritto alle confraternite dai nonni, al registro. I rioni di Piazza, Fontevecchia, Prelatara, la Concia e una parte del colle di Paganica appartengono alla congregazione dell’Immacolata Concezione; invece a quella di Santa Maria degli Angeli fanno parte i rioni di S. Antonio, La Petogna, S. Bartolomeo, Corvenisci e alcune case di Colle. Sorte nella seconda metà del XVIII secolo, con decreto dell’autorità religiosa le due confraternite avevano lo scopo di incrementare il culto pubblico, anche con opere di carità, e si erano date una base gerarchica, con ruoli ben distinti: primo assistente, priore, secondo assistente, segretario, cassiere e depositario cera poiché,  ” nel 1947, era chiamato il deposito  a scalo – ci dice ancora Castellano – . Le candele e i ceri, circa cinquanta chili, li conservavo a casa, in una cassa. Quando moriva una persona di Paganica, un rintocco di campana avvisava i contadini nei campi che era morta una donna; due, che era morto un uomo; allora i familiari venivano a prendere i ceri e si pesavano. Finito il funerale, riportavano i ceri e si pesava di nuovo la cera. Si pagava la differenza, con i soldi, non con i beni alimentari. Se era morto un poveraccio se ne andava poca cera; se era ricco, invece, le candele si davano alla chiesa e alle congreghe che sfilavano lungo il corteo. La cera quindi si era consumata…”. Il 19 marzo, era la data dell’investitura, per i giovani che diventavano ” Fratelli” delle confraternite. Poi trattavano, barattavano con i carrettieri di Tocco Casauria i rami di ulivo: sei “stoppelli” di fagioli, circa dodici chili, in cambio di sei fasce di ulivo per la processione, come narrano le cronache, dal XVI secolo, che descrivono i camici, le mozzette delle confraternite nell’antica “Terra” di Paganica.

 

 

Le immagini, scattate dall’elicottero di Giorgio Zecca circa due anni fa, evidenziano, nel centro storico di Paganica, nel suo nucleo urbano compatto, il danno sismico del 2009. Una sorta di abbassamento del suolo la sensazione dalle immagini aeree, quasi un cedimento strutturale dell’intero impianto urbano della frazione, con l’evidente implosione dei tetti, quasi collassati, ripiegati, appena rientrati, dentro i perimetri murari che li sostenevano. Il centro storico di Paganica: uno dei più importanti esempi di Bene culturale urbano nella Conca aquilana, borgo rurale nelle attività della cultura materiale, esercitate un tempo, e presidio dell’economie agricole praticate nei decenni passati nelle pianure alle pendici del Gran Sasso. Il centro storico, quindi, esempio di autocostruito in pietra, con loggiati, passaggi coperti, fondaci, corti comuni, slarghi e vie cordonate strette. L’idea di borgo rurale, sopravvissuto nel corso dei secoli passati.

 

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