La fiaba. incipit.

Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Con Luigi, Barbati, Secinaro.

Ecco la fioritura in pieno inverno e molti restarono increduli, allora prima uscirono le foglie di un colore verde brillante e tutti le guardarono stupiti, e poi nella notte fonda del Massiccio cupo e tetro rischiarato dalla luna, chiamato Sirente, che ombreggiava le piante e il bosco alle sue pendici, sbocciarono dopo poco le bacche di perla bianche lattiginose e tutti urlarono di gioia davanti al vischio. Erano saliti fin lassù dai borghi della Valle Subequana per assistere all’evento di una pianta povera, umile, simbolo di vittoria della vita sulla morte, che precede il Natale. Il vischio, “la pianta nuova” dell’inverno, con la sua forma sferica di chissà quale magia, svettava, si era manifestata sugli alberi spogli, scheletrici, solitari ma che l’avevano nutrita e accudita. Lo stregone – guaritore contadino del luogo, che aveva letto Ippocrate e Plinio da vecchi libri mangiucchiati dai topi, intanto si accingeva a preparare infusi e pozioni medicamentose con le palline di vischio per combattere le malattie, i disturbi dell’organismo, soprattutto del cuore. Ma poi lo stesso stregone davanti a tutti i convenuti iniziò a parlare di Enea, del vischio e del ramo sacro utilizzato da lui per il viaggio nell’Aldilà. Il vischio divinità della terra si ritiene che allontani le disgrazie, le malattie, simbolo del buon auspicio durante il periodo natalizio. Protegge gli amori e gli innamorati. Terminato il suo racconto, lo stregone, ormai era l’alba, si girò verso il Sirente e vide che una quantità enorme di palline bianche di vischio si erano unite ai cristalli di ghiaccio, volteggiavano tutti insieme sui canaloni innevati del massiccio, formavano grandi spirali luccicanti, risalivano e poi scendevano come se fossero immersi in una danza, fino a quando…