Testo e Fotografia di Vincenzo Battista.vincenzo

Pacentro.
«Entra dentro, altrimenti kaput…» mi disse. Trentasette anni dopo, da quell’autunno del 1943, Crescenzio Marchionda, pastore di Pacentro, l’ho incontrato che lavorava “per fare manutenzione”, rimettere a posto le pietre di quella capanna divenuta allora la sua prigione: «quando scesero i lupi a due zampe – disse – ci presero; persino i cani scapparono nella macchia, i tedeschi razziarono le pecore, in ritirata, si spostarono poi a Campo di Giove con tutto quello che avevano rubato». Crescenzio, tra ironia e rassegnazione, quasi un personaggio siloniano : «noi, dentro le nostre capanne in pietra e fuori il finimondo… gli animali impazziti». “Prati della Macchia” è una località di passo S. Leonardo come “Collalto”, “valle Cupa”, ” valle Messere” unite da una architettura spontanea che va sotto il nome di tholos, capanne in pietra monocellulari a secco, rifugio quasi senza tempo, distribuite come dei totem in un paesaggio pastorale che mostra questa sua peculiarità, unica nel versante occidentale della Maiella. I costruttori di capanne, che provenivano da Pacentro, non esistono più così come le tecniche e quella tecnologia povera che con l’azione di spietramento strappava al suolo, alle terre alte dell’Appennino, i terreni da coltivare e poi armava a secco la pianta ellittica della capanna per costruire infine la cupola rivestita con zolle erbose e ramaglie, con un foro alla sommità per il focolare. «Era una specializzazione – diceva Crescenzio – un mestiere, che aveva l’arte di scegliere le pietre, metterle una vicino all’altra, una sopra l’altra, di taglio, fino alla cupola, senza farle cadere; e poi le spalle della capanna, l’architrave nella porta di accesso». Dentro, potevano trovare riparo anche quattro persone, che lavoravano i campi o governavano il gregge nello stazzo adiacente. “Percorsi tematici e microstorie nel Parco nazionale della Maiella”, è dunque un programma di ricerca che il Comune di Pacentro avvierà per monitorare l’area e in particolare per dare identità ai manufatti in pietra, ricostruire le storie minori che si sono legate a questa permanenza di architettura popolare che parte delle capanne in pietra e va fino alla stessa pietra “colta” dei centri storici, dei castelli della conca Peligna. Una storia sulla pietra, dunque, diversa, che vale la pena raccontare.

 

 

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