Quei “Signori del volo” sotto di noi.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

Twin – Astir, in vetroresina, apertura alare 18 metri, a due posti, dell’Aereo Club dell’Aquila, trainato da un aereo specifico. Manovra di decollo. Il lungo cavo di 40 metri, dopo 5 minuti, a 600 metri di altezza, viene sganciato e poi bisogna cercare le ascendenze – mi dice il pilota Ferruccio Zecca nell’abitacolo – le quote, tra i cumuli: vere e proprie spie, distributori di masse d’aria, per tirarci sopra, guadagnare il livello del volo, sfruttando anche l’orografia delle montagne, per salire dentro all’aliante, con il vento, ” guardando la natura”. Bisogna infilarsi sotto un cumulo, ricevere la “termica” giusta e dopo venti minuti puntiamo il Velino, il lago della Duchessa è appena sotto di noi, i “Signori del volo” che non battono più le ali, anzi, addirittura, ci indicano dove sono le migliori correnti ascendenti. ” Dietro di loro si scopiazza” dice Zecca, mentre lentamente ci avviciniamo, a circa 20 metri dalla “pattuglia”. Si “termica” insieme a loro in una colonna d’aria calda che sale, si fa una stretta virata, continuiamo a salire, con i grifoni del Velino ( i Signori del volo), una piccola colonia molto unita che vola come gli alianti, senza battere le ali, in un silenzio irreale, nel più assoluto disinteresse verso il nostro velivolo, e nella loro apertura alare di circa tre metri salgono, anche oltre i 3000 piedi, ” fanno scuola, ti insegnano a volare – dice Ferruccio”, incutono rispetto, ma poi si avvicinano alla base di una nuvola, ci entrano dentro, ma per noi è proibitivo. Ma dopo il volo, adesso a terra. La piramide carsica ci sovrasta, non vediamo le cime, ma sappiamo che una volta in quota, dopo un impegnativo, difficile trekking, il Velino (2486 m.) con i suoi torrioni e gli aspri canali diventerà per loro, per i grifoni, una sorta di ruota panoramica: ci gireranno intorno, incuranti, anche di noi, che iniziamo da 900 metri, la lunga ascesa. Saliamo lungo il sentiero “5”, quello frontale del Velino ” che prende – scriveva E. Abbate del CAI di Roma nel 1898 – tutto l’aspetto di un enorme colosso alpino. A NO del Monte Sevìce, racchiusa fra la Valle di Teve ed il vallone di Sevìce, s’erge una lunga costiera che dal lato di settentrione scende dirupata”, dove si lanciano i grifoni, nel cuore appunto della Riserva Naturale Orientata del Monte Velino, 3.550 ha, istituita nel 1997 nei comuni di Magliano dei Marsi e Massa D’Albe, ed affidata al Corpo Forestale dello Stato. Il grifone: “un enorme avvoltoio”, dal ruolo ecologico particolare, poiché si ciba delle carcasse di animali morti. Viene definito “spazzino della natura” per il suo ruolo, associato anche nell’immaginario collettivo europeo all’ avvoltoio, partecipe di sventure e cattivi presagi, simbolo avvolto da leggendarie forze occulte; ma non più da queste parti. Maestoso nel suo volo elegante, il grifone è stato reintrodotto dal 1993 nel Velino, con i primi 26 esemplari, in un progetto unico in Europa per le difficoltà che presentava. E torna così a volare dopo due secoli di assenza sull’Appennino abruzzese, anche sopra l’abbazia benedettina di S. Maria in Valle Porclaneta che al suo interno, nell’iconostasi che separa il naos dal presbitero, posto delle immagini e delle rappresentazioni ha il grifone scolpito, creatura leggendaria con il corpo di leone e la testa d’aquila, animale fantastico e avversario temibile, ultima difesa del “bene”, appunto nella “porta dell’iconostasi” del tempio religioso. Simboleggia il guardiano della fede, insormontabile ostacolo nei simboli criptici del cristianesimo tra terra e cielo che a noi piace pensarlo libero, nel vento, senza fine, il vento del Velino, che abbiamo inseguito con l’aliante, oltre le parole, oltre le nuvole…