Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

Vestita di nero, un’anziana trascina, tenendola per mano, una giovane donna che arriverà sopra, “all’acqua di San Franco”, la sorgente a 1700 metri; arriverà sopra con i piedi nudi piagati, tumefatti e lacerati dalle ferite del lungo sentiero, dalla bassa temperatura, all’alba. E’ lì per sciogliere un voto, viene da lontano e da una lunga malattia, mi dirà più tardi. Quando arriva “all’acqua di San Franco”, la giovane donna, ha i piedi sanguinanti. Negli ultimi tratti barcolla, incerta, si appoggia con le mani al suolo e il lungo vestito nero s’impregna d’acqua. Altri, li osservo, salgono già dalle prime ore in una lunga fila sopra l’orizzonte del Vasto, camminano con dietro bottiglie, persino damigiane, in ginocchio gli ultimi tratti, intonano canti, litanie, risalgono la montagna in un paesaggio essenziale, segnato dalla santità che su una roccia fece scaturire l’acqua miracolosa, meta finale del sentiero: una fusione spazio-temporale del mito del solitario Franco, una cornice che solo il 5 giugno (data che segna la sua morte) riesce a descrivere questo scenario apocalittico declinato nel tempo, scaraventato lontano, nella storia antica degli uomini, dell’habitat, della selva e infine segnato dalla religiosità popolare, che ruota, si avvita, ancora oggi, da secoli.

Ma prima.

Località Il Vasto, chiamato il “Guasto” nei manoscritti tardo medioevali, pendici meridionali della lunga barriera calcarea di Monte San Franco, Ienca e Pizzo Cefalone, contrafforte del Gran Sasso.
Un’area “vincolata”, per chi sa “guardare” la montagna, da un patrimonio spirituale, ascetico, di un santo cristiano pellegrino, Franco l’eremita, che nella seconda metà del XII secolo ha “ridisegnato” il territorio dei pastori, elevando il paesaggio e i sui tratti costitutivi, gli elementi naturali, al rango di patrimonio: nicchia di devozioni, culti, icone, pellegrinaggi, accadimenti prodigiosi, ininterrotti per secoli, giunti fino a noi. E poi gli elementi di questo sorprendente lascito tra natura e cultura: i sentieri, dal valore iniziatico; l’acqua dal potere terapeutico; la spiritualità della montagna, comunque la pensiamo.

La montagna: provider, metafora di questo tempo?

Forse in alcuni luoghi è così. Non finisce mai di testimoniare. Bisogna conoscerla, “praticarla”. Accade che si scorgono i segni, minori, defilati, ma che appartengono a tutti: si aprono, la montagna libera quel “genere umano” che lì transita, lascia messaggi brevi , short message sending, tracce, ma “inviati…”, liberi di esistere, soprattutto pubblici, poiché tutti possano riconoscersi in quelle “dichiarazioni”, in quegli Sms scritti nei quaderni posti sull’altare dell’edicola sacra di San Franco, che ha reso il logos libro aperto alle aspirazioni, alle gioie, ai dolori e alle meditazioni che solo la montagna conosce, conserva e infine restituisce. Oggi, intorno a quella fonte dalle abluzioni rituali continua il pellegrinaggio e soprattutto continuano le testimonianze. Un’antologia, così ci appare oggi, una sorta di epica emozionale di brani interminabili, concatenati, di stati d’animo e passioni, incertezze e confessioni, paure e angosce, scritti in lingue diverse, persino in cirillico.

Queste alcune testimonianze dei quaderni.

“Umilmente quest’acqua per la mia tesi, aiutami nel giorno della mia laurea” (25.10.2005); “Aiutami San Franco a diventare una brava parrucchiera” (17.8 .2005); “F. e M. ti chiedono, oh San Franco, di fargli la grazia di un bel bambino” (23.7.2005); “Ridacci un po’ di forma a me e al mio amico” (17.9. 2005); “Non siamo bravi a pregare, ma tu sai cosa stiamo attraversando”. “Ti prego San Franco metti la tua mano sulle nostre spalle” (17.7.2005); “San Franco, ho camminato ma alla fine ti ho trovato” (26.6.2005); “Ho nel cuore un dolcissimo pensiero. Molti anni fa con un’anima in più. A piedi nudi perché lui riposi in pace” (15.8.2005); “San Franco. Ma come hai fatto a crescere l’acqua. Sei magico? O hai fatto un miracolo” (3.8.2005); “In questa sorgente sgorga l’acqua che dà la vita. Spero che mi aiuterà nel mio futuro e delle persone che amo. Ma soprattutto aiuta a capire la nostra vita” (25.5.2005); “Caro San Franco, fammi essere promosso a scuola. Fammi prendere la patente e aiuta tutti i miei familiari”(6.4.2005); “Siamo arrivati fin quassù da valle Paradiso dove abbiamo trovato un branco di cinghiali” (23.8.2005); “Caro San Franco, mentre venivo qua da te mi sono lamentata un po’ troppo della salita, ed adesso te ne chiedo perdono” (15.3.2005); “Caro San Franco, accogli il più povero papà e rivolgigli il tuo sguardo affettuoso. Aiutami a superare le difficoltà della vita”. (18.8.2005); “San Franco, qui sono arrivata per un tuo aiuto importante da dare a mio fratello: Mi auguro che solo un tuo pensiero verso di lui possa davvero dargli la forza per rialzarsi da questo momento così brutto per la sua vita” (17.7.2005); “San Franco, aiutami in tutto, fammi capire che cosa cerco! Aiuta mia madre, mio padre, aiuta gli amici, questo mondo, fammi amore! Sono stanca e triste e forse oggi sono qui per chiederti amore. Sono qui da te! Dimmi che fare. Adesso devo tornare giù, è tardi, è quasi il tramonto e sono sola. . . “E’ sulla montagna che dobbiamo andare, sembra dire appunto questa antologia “motore di ricerca”, in un appuntamento che per molti è solo rimandato.

Intorno, la montagna.

Sbraita, si agita, “richiama”, così come è nel suo mestiere antico, e muove nell’aria un bastone in una scena che assomiglia sempre di più a quei cinque metri di pittura “a guazzo” diTeofilo Patini, dal titolo “L’aquila”, anno 1882, eseguita dal “pittore delle miserie”, scriveva di lui lo scrittore Primo Levi, esposta per anni nel soffitto della biblioteca provinciale “Tommasi”.
Il gregge, alla fine, vince l’esitazione. Spinto alle spalle dal pastore e dai cani “paratori”, che adesso iniziano a fare il loro mestiere, entra nel dirupo della valle del Vasto, una sorta di incisione abitata sin da epoca preistorica, sinuosa, dalle pareti a strapiombo, serrata e stretta in questo punto dai casolari pastorali di San Pietro, dove ci troviamo, ma che inizia molto prima, da Assergi, e affonda, angusta e tortuosa a tratti, da est a ovest, tagliando l’intero versante pedemontano per molti chilometri, fino a risalire e poi scomparire nei prati del Passo delle Capannelle.
Un uomo ha mosso i suoi passi, molti secoli fa, dalle Cafasse a Peschioli. Da quel momento quell’uomo dal ritiro ascetico, leggendario, ha “pettinato” la foresta impenetrabile e misteriosa, ammansito le fiere, miracolato la gente e dalle rocce, toccate dalla sua mano, è fuoriuscita l’acqua, come narrano le fonti agiografiche.
La montagna, questa, è del santo taumaturgo Franco. Anche in queste condizioni la gente continua a salire e la costruzione in pietra, una nicchia, viene raggiunta infine da un uomo, che senza esitare, immerge il corpo sotto l’acqua gelida che scaturisce dalla roccia nel “Luogo remoto – traduce dal latino in lingua volgare Don Nando de Nardis nel 1639- in “La vita e i miracoli di San Franco” – e più a proposito, però non vi era l’acqua. Sì che il santo facendo orazioni a Dio, fu si accetta, e grata, e quel liquore fu di tal virtù dotato per intercessione del santo che non solo in quei tempi ma anco poi con gran moltitudine di persone con quello lavandosi furno, e la presente anco sono da varie, e diverse infermità sanate . . .”.

La scultura e il valore dei beni culturali, il racconto di un miracolo, la processione nel borgo di Assergi.

Lo sguardo fisso, austero, ascetico, ieratico; il volto incavato, la barba che scende sugli zigomi pronunciati e sul capo, l’aureola, dorata, segno di santità. La statua si completa con la pianeta verde sacerdotale che si piega, in un gioco di panneggio sull’esile corpo minuto, oltre la mitra, arricchita di foglie d’oro della doratura; il santo, in piedi, benedicente con la mano destra, mentre con la sinistra sorregge un libro. E’ la scultura in legno del XV secolo, arte abruzzese, che rappresenta San Franco, conservata nella chiesa di Santa Maria Assunta ad Assergi, secondo lo schema delle rustiche icone lignee del Trecento, sbozzate da queste parti con asce e sgorbie artigianali in tronchi di castagno, rovere e quercia, e rese policrome per il popolo del contado, contadini e pastori in definitiva: ‘il popolo minore’.
Quanto basta per far trionfare la religiosità popolare in una scultura che non richiede sfarzo, che non cerca il lavoro dell’artista o di ricche committenze, poiché il suo uso è quello di stimolare le ricorrenze ‘intime’, il suo posto è la devozione popolare nella processione del borgo di Assergi, per celebrare il rito tutto chiuso nell’ambito montano, ma che si identifica però con una spiritualità diffusa, che non conosce ‘fratture’: fede unanime “di un popolo sobrio e forte” per un uomo simbolo delle qualità morali, l’eremita Franco.

Nella selva di Assergi, alle pendici di Pizzo Cefalone, nella seconda metà del XII secolo, mutò per sempre, con la sua presenza, il senso, la concezione dello spazio del lavoro: dai contadini ai boscaioli viene in aiuto, “pettina” il paesaggio, la forra impenetrabile; rende, San Franco, antropizzato il contesto geografico intimando al lupo, alla fiera, metafora del male d’insicurezza per merci e beni viaggianti, di restituire il neonato che aveva sottratto ai genitori, divenuta infine, per questo, “domicilio” la montagna, luogo dei “segni”, degli eventi soprannaturali, mitici, per tutti, finalmente liberi dalle angosce medioevali, e dalle paure dell’ignoto.

Il misticismo anacoretico, la vita nella grotta e la capacità di profezia come prerequisiti della vera “Imitazione di Cristo” raccontano la vita di San Franco, peregrinante con “una catinella et un pugno di sale”, dove non è più sufficiente per gli eremiti “Il saio è la mia cella” diceva San Francesco, ma spingersi, oltre, fino all’incorporamento nel ventre, nelle viscere della montagna, ultimo estremo atto, conclusivo e rituale, per vivere la solitudine ascetica nella forma più pura: la grotta di Peschioli ne è testimonianza.

Scavata in una torre carsica, il pilastro che si innalza davanti alla Portella, ci svela dunque tutto questo nella sua morfologia accidentata, nei suoi tratti di rifugio inaccessibile se non attraverso una rete di corda che scendeva ancorata alla sommità delle rocce, permettendo l’accesso alla spelonca. E’ dunque questa “l’utopia” dell’asceta Franco: la povertà assoluta, severa, in contrasto con i vizi in cui erano caduti gli enti ecclesiastici in seguito al loro inserimento nell’economia curtense e negli assetti sociali duecenteschi. Lui, insieme a molti altri della conca aquilana, rappresenta un concetto fondamentale, forse il più importante, anche destabilizzante per la religione, del medioevo: l’eremitismo, il punto di non ritorno “dove tutto è isolato e insieme unificato” che conduce nello stretto sentiero della sofferenza, esperienza mistica del colloquio con Dio, fino all’apice, la perfezione, secondo la severa regola ascetica.
Il maestro dell’antropologia cristiana, il solitario Franco, indipendente, libero dalle istituzioni visse in celle e romitori nella barriera delle Malecoste l’esperienza spirituale e individuale, che non impedì l’osservazione diretta e le testimonianze da parte della gente che ne diffuse la “fama, e i suoi saperi”, rimasti intatti ancora oggi, come l’acqua che si raccoglie dalla sua fonte taumaturgica, della montagna, che prende il suo nome.
“Che subito vi cominciò a scaturir una fonte saporita, e cristallina acqua.” scrive Nicola Tomei (anno 1715) di “Santo Franco”, che “andava per montuose selve” come i suoi seguaci, ancora oggi numerosi, sulle tracce della sua santità, alla ricerca dell’acqua che guarisce, che sana. Uno spaccato delle comunità locali dei centri pedemontani che si appoggiano nei due versanti del Gran Sasso d’Italia, quello interno e quello adriatico; un rito annuale penitenziale di “purificazione e richiesta” al santo, custode delle acque del Gran Sasso.

Le immagini.

L’edicola di San Franco e il pellegrinaggio, un quaderno, l’altare dell’edicola, l’edicola in inverno e sotto i due cunicoli dove sgorga l’acqua che viene raccolta dai fedeli, i torrioni delle Malecoste, la torre carsica di Peschioli di Pizzo Cefalone e la grotta, la statua di San Franco, la processione ad Assergi, gli affreschi della vita e i miracoli di San Franco conservati nella chiesa di S. Maria ad Assergi ( AQ): San Franco parla con il lupo – il lupo restituisce il bambino ai boscaioli – i fedeli che visitano la grotta del Santo- la morte di San Franco, il volume il Pane nell’Arca e le pagine relative a Pizzo Cefalone ( aerea), i fedeli che si bagnano e sostano nei pressi dell’edicola di San Franco.

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