Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

Il viaggio con il treno, nel Solco dell’Aterno. Immagini labili, proprio così, volutamente registrate, appena percepite, forse valenze simboliche, geografico – percettive di un paesaggio dai “rilievi” identificativi e dalla struttura portante dei Beni culturali anch’essi ”labili”, soprattutto in questo lembo di paesaggio situato nell’imbocco della Media valle dell’Aterno, che ha nel borgo di Fontecchio”, “letto” dai finestrini del treno, di origine alto medioevale, adagiato sul versante orientale e pensato sulla spinta geo-umana, il suo punto di forza, il significato supremo di percezione visiva funzionale dell’intero assetto del territorio che prosegue nel solco del fiume. Il paesaggio, a guardarlo oggi, anche nelle immagini mosse e “confuse” scattate dal treno, ci appare luogo della metafora, topos della mente, luogo idealizzato che ha racchiuso i suoi saperi in una dimensione anche magica ( streghe, maghi, pratiche esoteriche di una società altra), nonostante “i campi” della geografia umana abbiano prodotto una ricostruzione reale, cruda, a volte drammatica della società locale di Fontecchio e dell’intera area. Un rapporto, in definitiva, tra storie personali e persistenze paesistiche, nella consapevolezza diffusa del “possesso” del paesaggio nell’antica tradizione culturale locale: ” Per andare alle Pagliare di Fontecchio, in montagna, ci volevano quattro ore di marcia. Bisognava con la pala aprirsi il sentiero, coperto dalla neve – narra la tradizione orale – per prendere la legna dalle casette in pietra e riportarla nel paese, a Fontecchio”. Il paesaggio del racconto, quindi, come “Bene narrato”, fondamento, cerniera di identità tra storia e natura, con le sue numerose interconnessioni, ma anche varco nuovo che si apre nelle mutate concezioni del patrimonio storico e culturale del composito panorama regionale dei Beni culturali, per ripensare la concezione diffusa del territorio che spesso appare un museo… E poi la ricerca di un’ immagine del paesaggio, rielaborato, dalla fotografia, commisurata purtroppo da una realtà che muta, riduce la presenza antropica, e quindi il senso stesso della comunità locale. Paesaggi che si susseguono, si accavallano, mutato guardati dal treno, come un viaggio nel tempo e nello spazio improbabile, interiore. I due tasselli “Bene culturale narrato” e “immagine del paesaggio”, definiti, in una scelta finale che li racchiude, in questo “viaggio” denso di cromie, di luci e tagli di colore: un caleidoscopio, in apparenza irrazionale, sì proprio così, dal finestrino del treno…

 

La ferrovia Terni – Rieti – L’Aquila – Sulmona rappresentò negli anni che vanno dal 1870 al 1883, il tentativo di mettere in comunicazione le popolazioni, i mercati, i traffici dell’Adriatico e di Roma con i suoi 344 Km. e rompere l’isolamento delle aree interne dell’appennino. Dei 163,6 km dell’intero percorso da Terni a Sulmona, 79,6 entrano nel territorio abruzzese. La tratta Sulmona – L’Aquila, nel percorso Sulmona – Molina, venne aperta all’esercizio il 1 febbraio  1875, con 17,870 km.; gli altri 41,460 fino a L’Aquila, vennero aperti successivamente. La società delle Strade ferrate meridionali inaugurò la tratta Pescara – L’Aquila il 10 maggio 1875. Otto gallerie si incontrano nella tratta Sulmona – L’Aquila ( Corfinio è la più lunga con i suoi 1335,22 m.). Da Sulmona 348 m. s.l.m. la ferrovia in direzione nord –ovest attraversa le Gole di San Venanzio e la Media valle dell’Aterno giungendo a L’Aquila ad una quota di 700 m. s.l.m.

 

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