Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Il garum, una salsa di pesce fermentato, al limite secondo i nostri intendimenti, oggi, del commestibile. Peschi, molluschi e crostacei nelle diverse ricette a base di salse, cotti alla brace, essiccati, spalmati sul pane, bolliti nelle pentole, uniti con le verdure e spezie, marinati con il vino e che quindi costituivano, in gran parte, l’alimentazione dei romani a cui annettevano un’importante valore proteico. Tra la fine della Repubblica e l’Impero il cibo del pesce era notevolmente ricercato nelle mense soprattutto dai ricchi romani. Il pesce fresco, considerato l'enorme richiesta a Roma, divenuta per una straordinaria affluenza demografica la città simbolo dell'impero, il prodotto non poteva più soddisfare il sostentamento della popolazione urbana, e pertanto divenne il garum. Il prodotto culinario, tanto elaborato infine è il garum fermentato: salsa liquida delle interiora dei pesci con erbe aromatiche, spezie che annullavano il sapore di cibo contaminato da agenti tossici, come documentato da Varrone e Plinio il Vecchio. Pesci, molluschi e costacei, nelle diverse ricette. La pratica alimentare con il pesce viene esaltata e descritta minuziosamente. Il pesce assurge a valore e profilo culturale iconografico. Le tessere del mosaico lo rappresentano, gli danno status, così chiamati i frammenti, si riferiscono all’arte musiva romana, meglio lo stile romano. Si utilizzavano gemme in marmi pregiati, pietre e vetri colorati, basalto per la sua purezza, oro, travertino, diaspri vari, pasta vitrea in fusione, conchiglie. Principalmente l’oro del mosaico decorativo e prezioso quindi era impiegato in alcune pavimentazioni. In seguito l’arte musiva si utilizzò nelle pareti. Le tessere del mosaico erano piccole di dimensioni per seguire i disegni nei cartoni, modelli disegnati questi. La profondità scenica della composizione, le ombre e le sfumature, specie per i mosaici policromi. Le tessere di taglio ridotto erano le più costose per via della lavorazione accurata e minuziosa. Questi mosaici con le caratteristiche citate venivano lavorati nelle domus dei patrizi romani. Il termine opus, il suo sostantivo, in latino opus musivum, aveva un riferimento con le muse e le loro abitazioni: le grotte. La tecnica del mosaico prevedeva un primo strato (statumea), il secondo strato (rofus), il terzo (nucleus). Il pavimento era livellato con sabbia, calce e polvere di marmo, e infine si stendeva la pasta di cemento. I mosaicisti collocavano le tessere ( sopranucleus) seguendo il disegno preparatorio concordato con il committente. Il pictor imaginarius, il pictor parietarius, il musivarius o tessellarius erano queste le figure di riferimento per la preparazione e la collocazione definitiva del mosaico che durava nella in opera diverse settimane.