Fondazione Palazzo Boncompagni, Bologna.

Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Non sapremo mai se Mimmo Paladino fosse lì, nel ventre del cavallo di Troia sulla spiaggia omonima, così nel Libro Secondo dell’Eneide, oppure qualcosa che gli assomigli, qualche forma – materia proviamo a pensare, in qualità di osservatore, ma nel suo divenire (rispetto allo scenario da lì a poco), che si avvia all’identificazione: muta davanti nel suo archetipo, mantiene però il suo rigore, nell’accezione del termine-chiave della teoria junghiana. La forma e i modelli, le figure-immagini, quindi, primordiali, dell’esperienza universale dentro di noi, presenti nell’inconscio collettivo, sono il sedimento delle esperienze antropologiche e al contempo forma strutturante delle stesse: la ragione è lì, infine, nella forma, nella memoria pressoché scomparsa ma che emette il suo bit misterico, archetipo, chissà da quali gorghi. La Fondazione Palazzo Boncompagni nel “Palazzo del Papa” a Bologna, 1 febbraio – 7 aprile 2024, apre il grande portone cinquecentesco e ospita Mimmo Paladino, ovvero le cellule che dalle profondità oceaniche dei fondali marini sono divenute mammiferi nella cronologia dei cambiamenti da un pianeta abiotico, Mimmo Paladino è lì, o forse qualcosa che gli assomigli nel suo background. Oppure giace nelle caverne del paleolitico, alza gli occhi davanti alle pitture, ai segni sulle pareti rocciose, alle stele divinatorie. Non c’è estetica nell’allestimento dei “pezzi – monumento” di palazzo Boncompagni, così come noi possiamo prefigurare, ma materia sufficiente, quella esposta, per portarsi avanti, prefigurare, forse, il viaggio nello spazio e nel tempo che si deforma, si allunga e svanisce con la sua scia, quello che vuole Mimmo Paladino. Non c’è stasi, non c’è assenza di tempo, ma complessiva e ricollocamento della forma – tempo, del pensiero che indica la facoltà aperta a tutti di elaborare, andare oltre, non abbiamo più certezze, convinzioni nello scenario Paladino e del suo paradigma, come per Platone nelle realtà ideali concepite come eterni modelli delle transeunti realtà sensibili. Mettere i piedi nel ” bosco di esseri” – così nel salone delle cerimonie e delle udienze papali del Palazzo Boncompagni – che dialogano  in un linguaggio arcano, con il capo alzato, che cercano, infine, e si cercano quei corpi, prendono forma, matamorfizzati con quegli occhi ellenistici che ci guardano, vivono, aspettano, ma nel divenire infine… nel nostro divenire…