Testo e fotografia Vincenzo Battista.
I ragazzi del liceo “Cotugno” hanno incontrato e dialogato con la restauratrice, che ha illustrato le fasi finali del suo intervento nell’ambito del progetto “Cantiere a vista”.
Gli Stati nazionali saranno gli attori principali dell’ordine mondiale, ma lo scontro di civiltà avrà luogo tra nazioni e gruppi di diversa formazione. L’umanità, non certo la sua totalità, che si è fatta potere, non regola il diritto alle esistenze delle minoranze. Le linee di faglia saranno quelle sulle quali si consumeranno le battaglie. Così commenta Samuel P. Huntington, politologo. La linea di faglia scende in profondità: frattura di roccia e crosta terrestre di misteriosi presagi mentre, in “superficie”, diventa, la stessa linea di faglia, proviamo a pensare con una metafora (e lo capiremo), a volte iconografia, pittura narrativa, un quadro intriso di racconto in una cultura visuale che ci appartiene, adesso, qui, davanti a noi, con i ragazzi del liceo “Cotugno” in trasferta nelle sale del museo MuNDA, davanti all’opera d’arte. Lo scontro di civiltà è servito, per usare un eufemismo. È lì, é dentro la “Dormitio Virginis” (nuova acquisizione del patrimonio museale d’Abruzzo), tempera e oro su tavola 153×255,5 cm. datazione fine XIV secolo. Attribuita al Maestro di Beffi (Leonardo di Sabino da Teramo?). Ma partiamo dalla Madonna, è il tema centrale, che non muore mai ( il principio è di origine bizantina, e si diffonde intorno al X secolo); è languidamente rappresentata, ed è evidente, nel suo volto, la tristezza certo (così è nella storia dell’arte, poiché preconizza già nella pittura dell’Annunciazione la morte del figlio), ed è la cosiddetta “dormizione” (in latino dormitio), riposa, in un sonno, “passaggio” questo, profonda meditazione (il volto di Maria non è segnato dalla morte), per poi essere assunta in cielo. Anche se la pittura della tavola del MuNDA è tradita dal sarcofago che la accoglie, che di fatto commemora e attribuisce, come sappiamo, la morte, non il sonno. Gli esempi in storia dell’arte: dal vaso del Dípylon o anfora del Dípylon (funeraria greca), fino al Carpaccio, 1520, che dipinge il sarcofago con sopra però il Cristo morto. Il sarcofago, quindi, nel suo significato, è legato alla morte. Poussin nel 1623, invece, dipingerà la Madonna su un letto, dorme, riposa prima di ascendere in cielo. L’esposizione dell’opera d’arte nel MuNDA. La Madonna è centrale nella pittura a tempera, esposta, assistita da un pantheon di figure religiose e civili, poiché ogni personaggio ha una sua narrazione: è il suo brand mediatico nella comprensione dialogante ( questo il tentativo) dell’intera opera, sia nella postura e gestualità del logotipo della comunicazione che nei simboli dei personaggi. Poi nelle dimensioni e plasticità emotiva dei corpi e la loro solennità, negli sguardi verso la Madonna misti tra stupore, rassegnazione, attesa, stato di dolore e accettazione dell’evento, fino alla tecnica della tempera con il fondo in foglie d’oro della doratura con il bolo sottostante che s’intravede (ancora oggi la tecnica si esegue nella stessa maniera), e ancor più in tutte le implicazioni compositive, la pellicola pittorica e le pigmentazioni, oltre le manomissioni intervenute sulla tavola. Infine il restauro conservativo che, nell’insieme di tutta l’opera, con tutti gli elementi, come accennato, meriterebbero un’altra trattazione, compreso il copricapo rosso del personaggio a sinistra della tavola che regge un cartiglio ( è stato peraltro individuato, forse il santo protettore dei notai) che richiama i copricapi dell’epoca di Lorenzo il Magnifico. Poi il tappeto di erba con un cromatismo scuro di fondo e vegetazione di contrasto affiorante: lo abbiamo visto nella “Primavera” di Botticelli. Un enigma, vedere questi due dettagli, poiché l’opera “Dormitio Virginis” sembra essere precedente al Rinascimento. Lo scontro delle civiltà dunque, la riflessione che trasmette la pittura, adesso è davanti a noi, la troviamo in un apparato iconografico interdisciplinare (così come in uso nella scuola) per cercare di spiegarla ai ragazzi del “Cotugno” partendo dalla “Legenda Aurea” del frate domenicano Jacopo da Varazze (raccolta medievale di biografie agiografiche, compilata a partire circa dall’anno 1260). Da qui si avvia la narrazione che diviene pittura. E ci dobbiamo spostare nella base della tavola “Dormitio Virginis”( mentre la restauratrice continua il suo lavoro ), poiché lì e il focus, l’epilogo, il finale della storia e, come nel racconto letterario di Jacopo, così viene dipinta una scena fattuale (i giudei praticavano l’usura in epoca angioina, forse anche da quelle vicende ha inizio l’antisemitismo).I due ebrei cercano di rovesciare il catafalco creando un atto eversivo, l’intoccabilità di Maria, la profanazione inimmaginabile per i cristiani. Il deciso intervento dell’arcangelo Michele scongiura il proposito con la gamba destra baricentrica e ben piantata al suolo per dare spinta al movimento del busto e braccio armato dalla lunga spada lui, l’angelo sterminatore con la corazza, infilza senza esitare l’ebreo, nell’addome, che cerca di trattenere con la mano la lama in un ultimo disperato atto di sgomento prima della morte ( probabilmente la tavola verticale di questa scena, come un’altra che muta la tonalità rispetto alle altre e all’intera opera, è stata rimaneggiata). La spada è “guarigione”, giustizia divina, separa il bene dal male. L’ebreo, infine, è abbigliato come richiesto dalla sua dottrina con il copricapo rituale, mentre i volti dei due ebrei, nei tratti, volutamente dipinti aggressivi e ostili . L’altro ebreo, con le mani seccate e scomposte, sulla destra del dipinto, è avvolto da una sorta di esorcismo, deforme, assume la postura animale, di un ragno, una tarantola, scomposto non tocca terra il corpo come un essere antropomorfo. Il cristianesimo, proviamo a immaginare, ha derubricato al ruolo di Anticristo quest’ultimo, satanico è l’ebreo (uno è il sacerdote ebreo Ruben o Josafa e l’altro Geronia ), poiché si cerca di scacciare anche nel suo corpo la presenza malefica e demoniaca: una umiliazione, in definitiva, per l’ebraismo così mostrato nello scontro di civiltà, nei tempi apparentemente lontani ma immutati: la storia si ripete e rimbalza fino a noi dentro i conflitti religiosi e di appartenenza, dentro la crudeltà.